Addestramento del cane. La svalutazione del comando

Addestramento, parola che rievoca molteplici attività. Capita di sentir dire ai proprietari più naive: <Ah no. Io non lo addestro il mio cane, non voglio un robot a comando, ma un essere vivente libero di esprimersi!>. Ammetto che stento ancora a capirla questa frase… Cioè cosa vorrebbe dire esattamente? Di che addestramento si parla? Forse è la vecchia interpretazione o la visione dell’ammaestratore di leoni con sgabello e sfrusta alla mano a far “storcere il naso” ? No so. Quando gli si insegna che se lo si chiama per nome e viene da noi succedono cose belle… quello non è addestrarlo?

Per me addestramento è sinonimo di educazione, di abitudine, di allenamento. Quando insegniamo al cane il suo nome ed a venire da noi se chiamato, quello per me è addestramento. Quando indichiamo dove è il posto fuori per fare la pipì (l cane tende a farla naturalmente lontano dalla zona “abitativa”) quello è addestramento. Allenare il cane su determinate attività fisiche, di utilità, agonistiche (e non) è addestramento. Addestrare il cane ad eseguire un esercizio in base ad un comando è addestramento.

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Tutto è addestramento! E’ fornire al nostro cane la capacità di capirci ed eseguire dei compiti dietro nostra richiesta. E’ fare ciò che lo rende più felice… oltre a mangiare la cacca del gatto del vicino 😉 . Il cane selezionato nel corso dei millenni è felice ed appagato se lavora, se svolge un compito che rende il suo umano (padre, madre, guida, punto di riferimento) felice. Vivono per appagarci, quando il rapporto è sano e naturalmente equilibrato.

I comandi nella società moderna

Dare al nostro cane la capacità di fermarsi ad un comando come il “fermo!” quando si è rotto il guinzaglio per strada; dargli la capacità di lasciare la presa sul malcapitato barboncino che ha osato entrare la testa tra le sbarre del nostro cancello con il “Lascia!”. Poter usare il comando “Seduto!” per farlo concentrare su di noi e cambiare la sua postura nel linguaggio del corpo, in un momento in cui un altro cane lo sta istigando ad un attacco… come ben sappiamo dagli studi sull’embodied cognition anche la postura che assumiamo ha effetti sull’aspetto cognitivo, così per le persone che per gli altri mammiferi . Comandi che potrebbero fare tanta differenza per la sicurezza sua e degli altri, per la tranquillità sua e nostra.

Approfitto per ampliare il messaggio relativo all’embodied cognition, che avevamo affrontato anche nell’articolo relativo alla comunicazione del cane (che si trova nel menu a tendina del blog), riportando da un articolo di cui cito la fonte:

Postura e embodied cognition (da: State of mind. Il giornale delle scienze psicologiche)

Secondo l’embodied cognition i processi cognitivi non sono limitati alle operazioni istanziate all’interno del sistema cognitivo, ma comprendono più ampie strutture corporee e processi d’interazione con l’ambiente (Lakoff, Johnson, 1999; Noë, 2004; Chemero, 2009). Parafrasando Mallgrave (2015) “Siamo esseri incarnati (‘embodied beings’), in cui menti, corpi, ambiente e cultura sono connessi tra loro a livelli diversi”. L’approccio dell’embodied cognitition afferma che mente e corpo non sono separati e distinti, come erroneamente pensava Cartesio (Damasio, 1995), ma che il nostro corpo, e il cervello come parte del corpo, concorra a determinare i nostri processi mentali e cognitivi (Borghi, 2013).
Secondo l’embodied cognition quindi i processi cognitivi sono profondamente radicati nelle interazioni del corpo con il mondo e il corpo riveste un ruolo centrale nel modellare la mente. Tradizionalmente, i vari rami del cognitivismo vedevano la mente come processore di informazioni astratte, le cui connessioni con il mondo esterno erano di poca importanza teorica. Con l’approccio dell’embodied cognition, si puntano i riflettori sull’idea che la mente deve essere compresa e analizzata nel contesto delle sue relazioni con un corpo fisico che interagisce col mondo circostante: gli individui altro non sono che l’evoluzione di creature le cui risorse neurali erano dedicate principalmente all’elaborazione percettiva e motoria e queste attività cognitive consistevano largamente in interazioni immediate e in risposta all’ambiente. […]Per l’emobodied cognition allora, il rapporto tra mente e corpo è bidirezionale: la nostra mente influenza il modo in cui il corpo reagisce e, allo stesso tempo, la “forma” del nostro corpo (anche la postura che assumiamo) attiva la nostra mente. (Riskind, 1984) (Stepper e Strack, 1993) (Riskind e Gotay, 1982).

Per saperne di più: https://www.stateofmind.it/tag/postura/

Fargli associare il “No!” ad una attività non voluta, vuol dire aiutarlo a capire che vogliamo smetta. Insegnare che al “hop!” è necessario salti, potrebbe aiutarci nel fargli saltare un ostacolo, farlo salire in macchina velocemente, eccetera, eccetera. Parlavamo di come insegnare il “no!” con la corretta tempistica nell’articolo di ieri. https://alessiopalleschi.com/il-no-al-cane-educare-il-cucciolo-al-no/

Questi sono solo esempi semplici, pratici e comuni, ma ovviamente il discorso è lungo tanto quante le attività da poter fare con i nostri cani. Addestrare non è rendere il nostro cane un automa, bensì è dargli la capacità di modulare comportamenti ed azioni per il bene suo e nostro ( e non solo).

Il comportamento associativo

Il cane si sa, lo sentiamo dire spesso, è abitudinario. Beh io scherzando a volte dico che è ossessivo compulsivo. Cioè tende in maniera metodica a riproporre sempre un determinato schema comportamentale, che poi è alla base anche del suo modo di apprendere… Ovvero apprendimento per associazione sia positiva che negativa. Ad un suono, associo un’azione, da fare o subita, da osservare o che so accadrà.

Questa è una cosa facile da sfruttare a nostro vantaggio. Ammettiamo di avere il problema che il cane non voglia salire in macchina da solo. Non riusciamo proprio, anche se la macchina è associata ad un evento piacevole come quello di andare al parco. Il nostro cane non ci salta su ma, sappiamo benissimo che è capace di farlo… infatti quando siamo in passeggiata salta un muretto alto un metro e mezzo come se nulla fosse. Beh per migliorare la nostra comunicazione gli si potrebbe insegnare che se diciamo “hop” intendiamo dire che (se vuole) gli chiediamo che salti.

Beh… facciamo così: ogni qual volta passiamo accanto a quel muretto dove lui da solo e senza forzatura alcuna (perchè gli piace) diciamo la parola (comando) “hop” e lasciamo che salti. Premiamolo con un “bravo” e coccole, o con un gioco o una bella corsa…. facciamo ogni volta che passiamo di la, o ad ogni occasione in cui il cane possa saltare in sicurezza.

Una volta ormai che al nostro “hop” il cane cerchi con lo sguardo dove saltare (non perchè lo forziamo, ma perchè gli piace), avviamoci alla macchina con lo sportello aperto , sfruttando il “momentum” del movimento, ovvero senza arrivare allo sportello aperto e fermarci, ma mentre siamo ancora in movimento, un paio di decimetri prima di arrivare allo sportello (aperto) diciamo “hop!!”

Con moltissima probabilità, alla prima o alla seconda volta il cane salterà dentro la macchina. Perché? Perché è più forte di lui 🙂 . Ha sentito la parola che normalmente è associata a quell’azione, ed è probabile che segua l’impulso a fare in modo che ciò che normalmente si verifica… si verifichi anche questa volta 🙂 (Fregato!!) Oppure semplicemente perchè capisce che gli stiamo chiedendo di saltare anche in quella occasione e dunque ci accontenterà.

Questo era un esempio, in realtà per insegnare al cane a salire in macchina il percorso è ben più semplice e rapido. Basta spezzettare l’attività in micro-step, come abbiamo visto anche durante l’addestramento con il premio per stare al passo in passeggiata.

Il riflesso condizionato

Dato un numero (anche breve) di volte in cui a quel suono, a quel gesto a quel comportamento, a quell’odore (a qualsivoglia evento) il cane veda accadere una cosa, gli accade un’esperienza… sarà ormai automatico per lui aspettarsi o fare in modo che nel futuro allo stesso stimolo si sussegua lo stesso ed identico (quasi) evento. E’ una cosa più forte di loro. Riflesso condizionato lo chiamava lo scienziato russo Ivan Pavlov che dimostrò (1903) proprio come condizionando un cane a ricevere il cibo dopo il suono di una campanella, dopo poche ripetizioni, al successivo suono della campanella coincideva un aumentata salivazione del cane che… si aspettava il cibo. Atteggiamento notato per caso dallo stesso Pavlov prima di dimostrarlo, quando la salivazione del cane aumentava già al rumore dei passi dell’inserviente che portava quotidianamente il pasto.

Gli studi portarono a comprendere inoltre come l’associazione tra stimolo e risposta, in questo caso suono=cibo, dovevano accadere in uno spazio temporale il più possibile vicino tra loro, pena la non corretta associazione. Per questo si dice sempre che la tempistica nell’insegnare un comando, nello sgridare il cane o premiarlo, sia fondamentale.

Altri studi dimostrarono come lo stimolo debba essere precedente alla risposta per migliorare l’effetto associativo, meglio che contemporanea, meglio che successiva. Va da sè che sta proprio nell’essere capace di dare lo stimolo nel minor tempo possibile prima della risposta (frazione di secondo) che rende l’addestratore (il proprietario) più capace nell’impartire comandi. Più efficace nel farsi capire e dunque far associare correttamente il tutto. Su questo fondamentalmente si basano le tecniche di addestramento con il clicker.

Vi sono stati alcuni studi che hanno dato rilevanza al fatto che uno stimolo sonoro per impartire al cane un comando sia più utile se di tipo acuto, breve e ripetitivo nel breve termine per ottenere un movimento, mentre sia più utile esso sia di natura greve, prolungata e continua per ottenere l’interrompersi di una azione… ma questo è tutto sia da dimostrare che da discutere in altra occasione.

I pro ed i contro

A volte queste associazioni e la necessità di riproporre lo stesso “pattern”, lo stesso modello, lo stesso schema, viene a nostro favore ed altre volte, invece, rappresenta uno svantaggio. Svantaggio si, perchè come egli è capace di associare una risposta positiva ad un comando, allo stesso modo è capace di associare un evento traumatico e dunque una risposta negativa ad un evento che precedentemente lo aveva spaventato o traumatizzato. O associare un comportamento che in realtà noi inizialmente sopportiamo e poi non tolleriamo col passare del tempo, ma che più spesso si ripropone e più si rinforza.

Sfruttiamo a nostro vantaggio una condizione naturale per il cane. Attenzione! Non è che siamo solo noi a far corrispondere un’azione associata ad un determinato stimolo, gesto, comando (chiamiamolo come vogliamo) per poter riproporne il comportamento, ma il cane può farlo e lo fa anche da solo. E’ il metodo di apprendimento, fatto di associazioni che poi diventa parte del causa ed effetto automatico di determinate dinamiche. Dunque una volta che il cane avrà associato un determinato comportamento ad un evento, sarà facile farglielo fare se è una cosa che vogliamo, ma sarà anche un po’ più difficile evitare che lo faccia se è un comportamento errato che lui abbia appreso o che noi involontariamente gli abbiamo “insegnato”.

Ecco che se il cane al campanello di casa che suona associa caos, arrivo di estranei, eccitazione e risponde con altrettanta eccitazione, abbai continui, corse in giro per casa o rigirando su se stesso e noi non interrompiamo sin dalle prime volte questa associazione… poi ci ritroveremo in difficoltà una volta che il comportamento sarà diventato “cronico”. Associazione + ripetizione = routine… normale!

Cosa fare?

Invece approfittiamo di questa capacità per insegnare sin da subito che al suono del campanello: “se ti sdrai a terra ed aspetti, cose belle capitano e ricevi il biscottino”.

Et Voilà.. dato un determinato numero di volte in cui al suono del campanello il cane viene invitato sul tappeto ad aspettare e ricevere il biscottino… successivamente associato questo stimolo + comportamento, dopo poco non sarà più necessario dare il biscottino. Il comportamento sarà (ricorda… ossessivo compulsivo 😉 ) sempre lo stesso. Sarà più forte di lui e si riproporrà anche se il biscottino non arriverà più.

E’ chiaro che ogni tanto un “reminder” (promemoria) bisognerà farlo, è chiaro che qualche volta l’eccitazione, la carica di energia accumulata, la fame, insomma alcune variabili più forti potrebbero far cambiare per una volta il dato comportamento, ma starà a noi riproporre la volta successiva nuovamente l’associazione originaria, così da rimarcare nuovamente il tutto e rinforzare il riflesso.

La svalutazione del comando

Ed eccoci al reale argomento che mi ero preposto di affrontare. La svalutazione del comando.

Come abbiamo ben compreso ad un suono posso associare un’azione rinforzandola correttamente. Ammettiamo che il suono sia la nostra voce e l’azione sia che il cane venga da noi. Il suono sarà “Qui!” e l’azione dovrà essere che il cane venga accanto a noi. Cominceremo a fare associare positivamente alla parola “qui” il fatto che i cane riceva del cibo ad esempio (uno degli strumenti e premi più comuni, ma non il solo).

  • Così dirò “qui” e darò un pezzetto di wurstel…. dopo 2 minuti lo ripeterò: “qui” e pezzetto di wurstel…. così per tre o quattro volte.
  • Poi aspetterò un poco e quando il cane sarà a 3 metri da me dirò “qui” e farò vedere di aver qualcosa in mano… il cane si avvicinerà e lo premierò.
  • Allora aumenterò la distanza a 4, 5, 10 metri. così per due o tre giorni, con sessioni di addestramento di 15 o 20 minuti (e già è tanto tempo per un cane adulto… figuriamoci per un cucciolo).
  • Il quarto giorno riproporrò l’esercizio con il cane già distante 10 mt (ad esempio) e dirò:”Qui” e non appena il cane si avvicina lo premierò con un pezzetto di wurstel… lascerò passare 10 o 15 minuti, chiamerò il cane con il comando ormai impresso e questa volta lo premierò con uno dei suoi giochi preferiti. Ripeterò per una o altre due volte e stop.
  • Al giorno successivo riprenderò da dove avevo lasciato ed invece del cibo o del gioco, il cane riceverà delle coccole.
  • Lo schema si ripresenterà ed allora a volte userò delle coccole, a volte del cibo, a volte solo la parola che uso per premiarlo quando fa qualcosa di positivo come un “bravo”.

Quello che voglio dire è (perchè ogni strategia e la tempistica possono variare da cane a cane e da proprietario a proprietario): In poco tempo che può andare da due o tre giorni a dieci o più (ripeto, dipende da noi e dal cane) sarà automatico che alla parola “qui” il cane verrà.

Cosa può giocare a nostro sfavore? Molte cose una fra tante è la parola che scegliamo. Il “qui!” potrebbe essere una parola potenzialmente svalutabile. Cosa intendo? Beh nel nostro percorso di insegnamento sono due le cose che non vorremmo mai giocassero a nostro sfavore:

  1. Che la parola che usiamo sempre e solo per ottenere una determinata risposta sia possibile che il cane la senta in altri contesti, la senta associata ad altre attività, altri momenti, altre persone, altri stati d’animo…. ad altro.
  2. Che alla parola associata si associ a volte il comportamento voluto ed a volte un altro comportamento.

Nota: Usare il nome del cane per chiamarlo è bene sia associato sempre a cose positive, ovvero evitare di chiamarlo per “punirlo” sia andando a togliere un rinforzo positivo che andando a dare un rinforzo negativo. Inoltre l’uso del nome del cane dovrebbe essere evitato quando ciò che richiediamo è calma concentrazione. Se il cane è in uno stato di agitazione, con un livello di eccitazione alto è controproducente chiamarlo per nome. Se ad esempio sta abbaiando ad un altro cane, il sentirsi chiamato per nome potrebbe incentivare il suo atteggiamento, quando invece ciò che ci auspichiamo è che lui si distragga dal cane in questione, si concentri su di noi e si calmi.

Evitare inefficaci ripetizioni

Il primo punto è facile intuirlo perché possa giocare a nostro sfavore, il secondo logicamente anche ma… Lo facciamo di continuo. Questo è ciò che io chiamo come la svalutazione del comando.

Ripetere un comando quando non funziona significa svalutare il comando

Ammettiamo che abbiamo insegnato da una settimana al nostro cane il richiamo e dunque accorrere da noi se chiamato per nome ad esempio. Avremo cioè ottenuto che ogni volta che pronunciamo la parola “Rudy” egli venga. Se in questa fase in cui il richiamo non è instaurato in maniera indelebile, (non è affidabile al 100%) va da sé che ci sia la possibilità che il cane non risponda immediatamente. E’ scontato che siamo ancora nella fase di creare quel “pattern” a cui il cane “non potrà” fare a meno. Dunque stiamo attenti a non svalutare il comando.

Se sappiamo che ancora il cane non sappia resistere a sentire quell’odore, a prendere quella foglia che sta volando, ad andare a vedere in cucina chi ha aperto il frigo NON CHIAMIAMOLO perchè già sappiamo che difficilmente ascolterà e dunque lui non solo non ascolterà, ma inconsciamente assocerà il nostro chiamarlo al fatto che a volte viene ed a volte no. E successivamente la discriminazione la farà lui in base a cosa più gli converrà… Possiamo provare a chiamarlo una volta, ma se il cane è “partito” per andare in cucina (ad esempio), inutile e controproducente sarà rincorrerlo o continuare a chiamarlo.

Dunque nel caso in cui alla prima o seconda volta che il cane non risponde attuando il comportamento voluto sarà non solo inutile ma anche controproducente ripetere esasperatamente all’infinito il suo nome (in questo caso). Con: “Rudy”… “Rudy!”…”Rudyyy”… “Rudyyyyy!!! Vieni qui”…… Rudyyyyyy ti sto chiamando!!! Stiamo svalutando enormemente il comando.

Quante volte lo avete sentito eh? Quasi sento mio cugino ripetere: Lascia! lascia! lascia! Uffaaaa!! Lasciaaaaa! 🙂

E se non viene che faccio? Niente! Prendi coscienza del fatto che ancora non è instaurato un richiamo perfetto, che devi lavorare più duramente, far associare l’azione in maniera ancora più positiva e forte. Devi alzarti dal divano ed andarlo a prendere (se è il caso, ma senza rimproverarlo).

Tanto… fattene una ragione! Chiamarlo all’infinito non solo sarà inutile, ma svaluterà l’effetto: comando = azione voluta!

Conclusioni

Come al solito mi sono un pò lasciato andare nel descrivere un pensiero alquanto semplice, ma spero che nel corso della lettura tu abbia potuto trovare interessanti punti di riflessione. Se tiè piaciuto l’articolo fammelo sapere nei commenti…

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Ciao! Sono Alessio Palleschi La mia passione per la cinofilia, che mi segue da 40 anni, mi ha portato negli ultimi tempi a voler aiutare sempre più persone a creare un rapporto migliore con i propri cani, a gestire e far crescere il proprio cane nel migliore dei modi in completa autonomia. Esplora gli articoli, le guide e gli approfondimenti che ho pubblicato su questo Blogdog!

5 pensieri riguardo “Addestramento del cane. La svalutazione del comando

  • 9 Maggio 2022 in 10:33 AM
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    Queste considerazioni sono utilissime.ma per addestrare un cane le considerazioni devono essere più profonde e articolate.insomma secondo il mio parere ci vuole un addestratore e il cane sarà più felice con il suo .con il suo compagno/a

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    • 12 Maggio 2022 in 10:43 AM
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      Caro Carlo, grazie per il commento…sono perfettamente d’accordo con te. La scelta di un percorso completo con un professionista “in campo” è la scelta migliore che si possa fare per se stessi e per il proprio cane. Ciò non toglie che alcune indicazioni possono tornare utili in quei casi in cui per forza maggiore o scelta non ci si faccia seguire e si preferisca il fai da te. Con tutti i potenziali rischi del caso. Blogdog cerca nel limite di un articolo teorico di fornire suggerimenti e fare informazione cinofila, ma siamo consapevoli e d’accordo con te che una figura dedicata al binomio sia la scelta migliore e quella che spesso consigliamo nei nostri articoli.

      Rispondi
  • 30 Marzo 2021 in 4:34 PM
    Permalink

    Illuminante..giusto mi chiedevo stamattina quante voolte sia possibile sbagliare e quanto mi senta ignorante sul modo di capire il mio cane

    Rispondi

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